Quanti abitanti aveva l’antica Roma nelle diverse epoche della sua esistenza? L’antica Roma è stata definita a più riprese una “metropoli preindustriale“: essa è stata senza dubbio la città più popolosa nella storia dell’Occidente fino alla rivoluzione industriale e fu raggiunta solo da Londra agli inizi del XIX sec. Roma, inoltre, ebbe il merito di esportare l’urbanesimo nel continente europeo, che non aveva mai conosciuto il fenomeno “città” (con numeri ugualmente esorbitanti) prima di entrare nella complessa organizzazione politica romana.
Nonostante questi dati incontrovertibili, è tuttavia assai difficile indicare dei numeri demografici precisi per le diverse fasi dell’espansionismo romano, a causa della scarsità e dell’approssimazione delle fonti a nostra disposizione.
Indice dell'articolo
Quali dati abbiamo per calcolare gli abitanti dell’antica Roma?
La storia economica del mondo antico è un terreno piuttosto accidentato, poiché, a differenza dei tempi moderni, in antico non si facevano statistiche, e non vi era assoluta precisione nel raccogliere dati quantitativi.
Anzi, nel parlare di Roma siamo piuttosto avvantaggiati, perché una potenza geograficamente enorme come quella romana fu obbligata, ad un certo punto della sua esistenza, a registrare dati per necessità di sopravvivenza, cioè per la fiscalità e il reclutamento dei soldati. Se quindi da un lato siamo decisamente più facilitati nell’affrontare la demografia di Roma, dall’altro è indubbio che molte cifre sono state approssimate dalle fonti; oppure sono state trasmesse con degli errori; o ancora ci sono giunte solo in parte.
Queste contraddizioni hanno generato grande dibattito nella storia degli studi, portando ad ipotesi tra di loro quasi contrastanti: dalle poche centinaia di migliaia di abitanti fino ai quattro milioni teorizzati da Giusto Lipsio nel XVI sec., o addirittura ai quattordici azzardati da Isaac Voss nel Seicento. Ancora oggi Elio Lo Cascio individua nell’indagine demografica proposta da Beloch nel 1886 il metodo più efficace e prudente per calcolare la popolazione dell’antica Roma.
Il “metodo Beloch”
Come calcolare quanti abitanti aveva l’antica Roma? Karl Julius Beloch, nella sua monografia sulla popolazione nel mondo greco-romano, individuava tre strade per calcolare con approssimazione gli abitanti dell’antica Roma:
- La prima possibilità è quella di calcolare un numero minimo di abitanti, cioè una cifra sotto la quale è impossibile che la popolazione di Roma sia scesa. Questa cifra corrisponde al numero dei beneficiari delle frumentazioni: i maschi adulti, liberi e cittadini che risiedevano stabilmente nella città. Si parla quindi di “numero minimo” perché a questa cifra va aggiunto tutto il resto della popolazione: donne, bambini, schiavi, stranieri, cittadini temporaneamente residenti a Roma.
- La seconda opzione consiste nel tentare di calcolare un numero massimo di abitanti che la città di Roma avrebbe potuto sopportare. Azzardare calcoli di questo tipo, tuttavia, non porterebbe comunque alla verità. Sappiamo infatti da veri e propri cittadini romani – cioè semplicemente Seneca, Giovenale… – che la città di Roma soffriva di un terribile sovraffollamento.
- La terza strada proposta da Beloch è quella “letteraria“: consiste, cioè, nel ricavare dalle fonti letterarie qualche indicazione – sicuramente non precisa – sul numero di abitanti, sui loro consumi di grano, ecc. Altri studiosi hanno anche proposto di calcolare la portata degli acquedotti, nel tentativo di stimare il volume d’acqua condotto a Roma e quindi il consumo pro capite. Anche questi dati, però, sono del tutto inaffidabili, perché sappiamo con relativa certezza che gli abitanti di Roma godevano della possibilità di attingere a grandi quantità d’acqua, che superavano sicuramente il fabbisogno giornaliero.
L’unica possibilità che lo studioso moderno ha a disposizione, quindi, è quella di sommare i risultati ricavabili da queste tre vie, aggiungervi i dati dell’immigrazione, ed individuare, per ciascuna epoca, un numero verosimile e approssimativo di abitanti.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma in età regia?
Per la fase monarchica di Roma anche solo tentare di fornire numeri precisi è compito arduo e pericoloso. Possiamo azzardare, sulla base dei seguenti ragionamenti, il dato di circa 50.000 abitanti.
La tradizione annalistica sembra ricordare, per il lungo periodo che separa Servio Tullio da Cesare, una manciata di cifre indicanti il numero di maschi adulti che prendevano le armi e pagavano i tributi. Questi dati, riferiti con la formula ufficiale censa sunt civium capita tot, sono poi confluiti in Livio e di conseguenza nelle periochae liviane.
Concedere credibilità a questi numeri è difficile, perché le fonti che li riportano sono distanti secoli dall’epoca in cui questi censimenti avvennero. I primi storici annalisti, infatti, scrissero solo nel III sec. a.C.; aggiungiamoci poi tutti i secoli che li dividono da Livio e dai riassunti tardoantichi (le periochae) delle sue Storie. È improbabile che dati numerici, facilmente corruttibili, si siano conservati intatti per tutto questo tempo. Agli occhi di molti storici, inoltre, questi numeri appaiono a dir poco esorbitanti: il rapporto tra territorio e popolazione, soprattutto nel VI sec. a.C., sarebbe stato incredibile per una città arcaica.
La “grande Roma dei Tarquinii”
Proprio per le ultime fasi della monarchia romana, da Servio Tullio in poi, il celebre filologo Giorgio Pasquali parlava della “grande Roma dei Tarquinii“. Con l’avvento dei re etruschi Roma si sarebbe trasformata, nel giro di un solo secolo, in una città grecizzante, popolosa e molto potente.
La tradizione ricorda la conquista di tutta la fascia costiera del Lazio, e quindi l’accesso alle preziose saline che si trovavano nei pressi. Polibio, inoltre, afferma di aver consultato nell’archivio pubblico di Roma il primo trattato tra l’Urbs e Cartagine, datato al lontano 508 a.C. I dati archeologici, in più, confermano la costruzione di un enorme tempio sul Campidoglio, dedicato alla triade Giove, Giunone, Minerva; l’estensione delle cosiddette “mura serviane“; la presenza di un santuario arcaico nel Foro Boario dedicato (da Servio Tullio?) a Fortuna e Mater Matuta.
La tradizione antiquaria e archeologica, dunque, sembra testimoniare per l’ultima fase regia di Roma un’espansione considerevole: il territorio controllato dalla città, in soli centosette anni, sarebbe passato da un raggio di 20 km a uno di 90 km. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: una forte spinta architettonica e una densità abitativa che, a quanto pare, fu eguagliata solo agli inizi dell’età imperiale. Già nel V sec. a.C., infatti, in corrispondenza del traumatico passaggio dalla monarchia alla repubblica, Roma visse un momento di involuzione, probabilmente a causa della perdita di tutti i contatti che i “greci” Tarquinii le avevano procurato.
Una Roma “latina”?
Alla luce di questi dati, dovremmo forse rivalutare le fonti annalistiche già menzionate. Nonostante l’approssimazione numerica, anche gli annalisti sembrano ricordare un forte aumento della popolazione nel VI sec. a.C. seguito da un declino nel V sec. a.C. I numeri esorbitanti discussi prima, quindi, si potrebbero spiegare pensando che i civium capita menzionati dalle fonti ufficiali non si riferivano ai soli maschi adulti di Roma, ma ai maschi adulti di tutte le città della lega latina, di cui era effettivamente composto l’esercito federale.
In conclusione, non sembra inverosimile pensare per la Roma di VI sec. a.C. ad una popolazione che si aggirava attorno ai 40.000-50.000 abitanti.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma in età repubblicana?
La Roma repubblicana, secondo la maggior parte degli storici, visse una crescita demografica esponenziale, con l’acme attorno al milione di abitanti.
La demografia di Roma in età repubblicana risentì, ovviamente, di un dato storico incontrovertibile: la conquista dell’intero Mediterraneo. La sottomissione della penisola portò ben presto alla creazione di colonie di diritto latino, che potrebbero essere intese anche come prova di una certa pressione demografica. Più in là, la vittoria su Cartagine e l’espansione in Oriente generarono un intenso flusso migratorio di intellettuali e schiavi verso Roma.
Il II sec. a.C., invece, vide un diverso fenomeno di inurbamento: molti abitanti delle colonie latine migrarono a Roma, motivati dalla possibilità di acquistarvi la cittadinanza romana, così come recitava il diritto. Di questi spostamenti e del conseguente spopolamento delle colonie latine siamo informati da Livio. Lo storico di Padova ricorda per il 187 a.C. e per il 177 a.C. le lamentele delle comunità latine che, obbligate a fornire soldati a Roma, si trovavano senza maschi adulti.
Non erano solo gli abitanti delle colonie latine a trasferirsi in città, ma anche i contadini. Le stesse riforme dei fratelli Gracchi possono essere intese come soluzione all’impoverimento dei contadini italici, che cercavano migliori condizioni di vita a Roma. In particolare, Gaio Gracco introdusse le frumentazioni – cioè le distribuzioni di grano a prezzo politico – proprio in risposta all’affollamento della città.
Questa novità generò, però, una sorta di circolo vizioso: nuovi contadini erano attratti dalle frumentazioni e migravano a Roma. La situazione peggiorò quando, alla fine della guerra sociale, tutti gli abitanti della penisola italica ottennero la cittadinanza e, di conseguenza, il diritto di fruire delle frumentazioni se residenti a Roma.
I numeri delle frumentazioni
Come già intuito da Beloch, sono proprio i dati delle frumentazioni a darci indicazioni precise sul numero minimo di abitanti a Roma.
Deduciamo una prima notizia dalla lettura delle Verrine di Cicerone. L’oratore ricorda una Lex Terentia Cassia del 73 a.C., che prevedeva la distribuzione – forse gratuita – di frumento ad un certo numero di beneficiari, circa 40.000 (bisogna, però, sempre considerare gli eventuali errori nei manoscritti che riportano questi testi). Se consideriamo la cifra come indicativa dei cittadini maschi residenti a Roma, tutti converranno sul fatto che essa è piuttosto modesta e inverosimile per il I sec. a.C. È quindi probabile che le frumentazioni fossero ancora destinate solo ad una parte della popolazione, esclusi cioè gli immigrati recenti.
Si spiegherebbe così anche il provvedimento di Catone risalente al decennio successivo: il numero di beneficiari fu ampliato, cioè furono accolti probabilmente anche gli immigrati trasferitisi da poco e gli indigenti. Nel 58 a.C., infine, il tribuno Clodio introdusse o reintrodusse – se nel 73 erano già gratuite – la gratuità delle frumentazioni. Dai 40.000 del 73, i beneficiari schizzarono così a 200.000. Questo può essere considerato a tutti gli effetti il numero minimo di abitanti a Roma.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma ai tempi di Cesare?
Era ormai evidente anche per Cicerone che il meccanismo della frumentazione – e le conseguenze demografiche che esso comportava – andavano regolati numeri alla mano. L’occasione propizia fu la dittatura di Cesare, il quale, con una riforma, fece scendere la popolazione da 800.000 abitanti a circa 500.000.
È Svetonio a ricordare il recensus che Cesare organizzò nella sua stagione di riforme: un censimento svolto quartiere per quartiere, grazie all’aiuto dei proprietari delle insulae (cioè dei palazzi). Adesso il numero di residenti stabili a Roma era certo e preciso. Cesare poté così ridurre il numero dei beneficiari da 320.000 a 150.000. Coloro che non erano stati inizialmente censiti dovevano attendere la morte di un beneficiario e sperare di essere estratti a sorte per “sostituirlo”.
È solo per l’età cesariana che possiamo stabilire con certezza l’equazione: numero di beneficiari = cittadini maschi residenti a Roma. Questo vuol dire che prima della riforma cesariana i maschi adulti residenti a Roma erano oltre 300.000; con la riforma Cesare li ridusse a 150.000, invitando coloro che erano esclusi dal numero (stranieri, non residenti, indigenti…) ad andarsene da Roma, forse in una delle ottantamila colonie che il dittatore fondò fuori dall’Italia. Non è un caso che Svetonio registri per la Roma “riformata” un profondo vuoto di popolazione.
Sommando ai maschi adulti tutto il resto della popolazione, possiamo così ipotizzare per il periodo pre-riforma un numero gravitante attorno alle 800.000 persone; concluso il censimento, gli abitanti di Roma scesero forse a 400.000/500.000.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma ai tempi di Augusto?
Quella proposta da Cesare non fu comunque la soluzione definitiva: il dittatore, cioè, non riuscì ad imporre un numero chiuso di beneficiari. Tra il 44 e il 2 a.C., infatti, questo numero continuò ad oscillare, fino a quando nel 2 a.C. Augusto chiuse la “plebe frumentaria“, cioè impose un limite di circa 200.000 beneficiari che non doveva essere più superato nel futuro. Nel 2 a.C., quindi, la popolazione di Roma doveva aggirarsi attorno ai 600.000 abitanti.
Augusto ebbe anche il merito di riprendere, nel 28 a.C., il censimento dei civium capita, cioè di tutti i cittadini che vivevano, ovviamente, anche fuori Roma. Da un totale di 900.000 cittadini, registrato nel 70-69 a.C., nel 28 si superarono i 4 milioni. Questa cifra così elevata si spiega pensando ai precisissimi criteri che Augusto impose per il censimento: il capo-famiglia non era più costretto a venire a Roma per registrarsi, ma poteva farlo nella sua città presso il magistrato locale. Molti più cittadini furono così facilitati e invogliati a registrarsi.
Ancora una volta, la cifra di 4 milioni riguardava solo i cittadini maschi adulti. Sommandovi il resto della popolazione, nel 28 a.C. l’Italia romana contava ben 12 milioni di abitanti.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma in età imperiale?
Sembra che la Roma di età imperiale non abbia vissuto grandi stagioni di immigrazione, come invece era avvenuto in età repubblicana. Al contrario, una terribile coincidenza di eventi provocò la diminuzione della popolazione fino a 400.000 abitanti circa.
L’impero di Marco Aurelio fu funestato dalla diffusione (probabilmente) del vaiolo, portato dai soldati di Lucio Vero che avevano combattuto in Oriente. Grazie alla scoperta e alla lettura dei papiri, siamo informati sui numeri impressionanti dei decessi in Egitto; nel 189, invece, la malattia piegò Roma, provocando – dice Cassio Dione – duemila vittime al giorno.
Le conseguenze furono disastrose: poiché erano state colpite soprattutto le province frumentarie (cioè quelle che fornivano grano) la carestia si aggiunse alla pestilenza, aggravando così la crisi.
Nonostante sia accertata per il III sec. d.C. una crisi demografica di notevole entità, sembra che ai tempi di Settimio Severo il numero di abitanti fosse ancora abbastanza elevato: i beneficiari delle frumentazioni erano 200.000. Questo numero, però, non comprendeva solo più i cittadini residenti, ma anche i soldati presenti a Roma. La popolazione complessiva, quindi, si aggirava attorno ai 500.000 abitanti, con una leggera diminuzione rispetto all’età augustea.
Quanti abitanti aveva l’antica Roma in età tardoantica?
Per l’età tardoantica siamo informati da alcuni documenti particolari, le consolidazioni giuridiche. Queste ci informano su un diverso tipo di distribuzione: non più solo di frumento, ma anche di carne di maiale. Questa veniva distribuita mensilmente a ciascun beneficiario. Facendo dei rapidi calcoli, sembra che la popolazione di Roma nel IV sec. fosse ancora stabile sulle diverse centinaia di migliaia di abitanti.
Il punto di non ritorno fu il sacco di Alarico del 410. Molti cittadini romani abbandonarono la città: non a caso l’ammontare di carne di maiale distribuita nel 452 risulta ridotta di più della metà rispetto al 367.
L’evento-limite per questa rassegna sulla demografia di Roma è senza alcun dubbio la guerra greco-gotica. La devastazione provocata da entrambi gli schieramenti, i saccheggi di Franchi e Alamanni, nonché una nuova epidemia di peste nel 542 spopolarono tutta la penisola. Roma aveva smesso di essere una megalopolis e si avviava a una nuova fase della sua esistenza: quella medievale.
Alessia Amante
Bibliografia essenziale:
Elio Lo Cascio, Roma imperiale: una metropoli antica (Carocci, 2010)