Tramonti di cartone, nuova opera di Marcello Affuso (di cui abbiamo già recensito Cortocircuito, raccolta d’esordio), rappresenta un ulteriore passo del poeta nella direzione di una complessa esplorazione dell’io e del rapporto con l’altro.
Egli guarda alla propria interiorità con occhi nuovi, sfidando con coraggio le proprie debolezze che, lungi dall’essere nascoste, vengono invece abbracciate ed esibite. Ad accompagnare i suoi testi poetici i contributi in prosa delle due coautrici del volume, Valentina Bonavolontà e Giulia Verruti, che ne arricchiscono la riflessione offrendo anche un controcanto femminile alle immagini di donna tratteggiate dall’autore. Il dialogo tra le loro voci permette, inoltre, di approfondire le tematiche affrontate rendendo Tramonti di cartone un’opera estremamente completa. Preziosi, inoltre, i contributi grafici e fotografici curati da Federica Crispo ed Erica Bardi che, grazie anche all’introduzione di Sabrina Goglia, valorizzano i temi posti al centro dell’attenzione degli autori.
Il linguaggio scelto è forte, vitale e, a tratti, grondante di dolore, così come le esperienze raccontate nei 64 contributi che compongono il volume edito da GM Press, in uscita il 13 gennaio.
La presentazione ufficiale di Tramonti di cartone è, invece, in programma per mercoledì 22 gennaio alle ore 18:00 presso la sede della Libreria Feltrinelli, sita in piazza dei Martiri (Napoli).
Tramonti di cartone e la precarietà dell’amore
Centrale nel viaggio di autoscoperta degli autori appare, fin dai primi componimenti, il tema dell’amore e del rapporto con la persona amata. Esso viene, infatti, analizzato e affrontato nelle sue innumerevoli sfaccettature, dando vita a immagini diversissime ma complementari.
Se in alcuni componimenti, come Lampare e Con una rosa, fondamentali appaiono le dimensioni dell’abbandono e del ricordo, visto come motivo di sofferenza, in modo simile a quanto accaduto in Cortocircuito, in altri la passione e la vitalità che le precedono divengono estremamente tangibili. La delicatezza di uno sguardo, la morbidezza di un gesto, il continuo spostarsi tra una dimensione quotidiana, a tratti quasi ferale, ed una più alta e idealizzata, disegnano complesse immagini di donna, contraddittorie ma reali. Forse sono reali proprio perché contraddittorie.
Inedito il punto di vista femminile che spicca nelle parti in prosa, facendo da contraltare alle sofferenze del poeta, completandone e arricchendone le capacità d’esplorazione. In presenza di più voci, infatti, l’inafferrabile precarietà dell’amore, appare ulteriormente evidente, nella molteplicità di fattori e tempistiche che possono determinarne il definitivo collasso.
Una sequela di interrogativi profondi
Caratteristica imprescindibile di Tramonti di cartone è l’affannarsi di interrogativi a cui, nella maggior parte dei casi, pare impossibile fornire risposta. Cos’è la morte? E la vita? Cos’è giusto e cos’è sbagliato?
Le domande, spesso dal sapore millenario, contribuiscono, però, nella loro indecifrabilità, ad un arricchimento di chi se le pone. Se, ad esempio, chi è vivo non può comprendere cosa significhi morire, analizzare le possibili reazioni degli altri alla morte aiuta senz’altro a conoscerli meglio. E conoscere gli altri è, indirettamente, conoscere se stessi per similitudine e differenza.
Anche in questo caso la riflessione, dunque, non si accontenta di restare astratta, concentrandosi su casi concreti e sulle molteplici emozioni da essi evocati. Emblematica è la lunga riflessione sull’Africa, madre e fonte di vita, ma, contemporaneamente, luogo ignoto e, perciò, ricco di timori.
La potenza delle immagini
Ulteriore contributo all’impatto emotivo di Tramonti di cartone è fornito dalla potenza delle immagini. Disegni e fotografie si alternano nella parte conclusiva del volume, andando ad amplificare le sensazioni prodotte dai componimenti a cui si riferiscono.
In esse è possibile riassaporare tutte le tematiche presenti nella raccolta in rapida successione. Si passa, infatti, dalla delicatezza dei rapporti interpersonali, alla gioia, al dolore, all’io spezzato e travagliato nella propria ricerca.
Alessandro Ruffo